“The Guardian” ha rivelato nei giorni scorsi l’esistenza di Riot (Rapid Information Overlay Technology), ma in inglese il termine significa “sommossa”, lasciando intendere che il prodotto può essere utilizzato come una forma di controllo sociale). Il software è stato sviluppato negli Stati Uniti da Raytheon, una delle più grandi aziende che lavora nel settore della difesa militare, in grado di ricavare dati (data mining) e fornire previsioni sui comportamenti dei cittadini U.S.A. Alla base del software ci sarebbero i social media come Facebook e Twitter. Solitamente per entrare a conoscenza di questo tipo di informazioni sono usate delle chiavette usb spia o dei piccoli sistemi che permettono di conoscere ogni qualsiasi dato venga inserito nel pc.
Riot è una specie di motore di ricerca in grado di localizzare gli utenti dei social, di mostrare le loro foto, dove e quando queste sono state scattate e si può trasformare in un vero e proprio strumento di controllo, una “Google-spia”. Funziona usando complessi algoritmi per “leggere” miliardi di informazioni presenti sul web.
Al momento pare che il software non sia in vendita, in quanto diversi aspetti preoccupano la privacy. Ad esempio permette di seguire le persone e le loro abitudini, e quindi prevederne i comportamenti. Inoltre gli utenti spesso non sono al corrente che i loro dati sono disponibili a tutti e quindi ci sarebbe bisogno di una campagna di informazione per un corretto utilizzo. E non è tutto. Attraverso il graphical riot object browser è possibile correlare persone, fatti e relazioni.
Per ora alcune informazioni simili possono essere ottenute attraverso il twitter scraping (estrazione selettiva dei tweet) o motori di ricerca appositamente creati per Facebook. Pare inoltre che l’FBI stia sviluppando un software di ricerca per i social media.
Le polemiche sulla privacy non mancano in questi casi. David Brin, autore di fantascienza già nel 2008 aveva sentenziato: “Siamo già troppo lontani per poter regolamentare l’utilizzo delle telecamere, conviene adeguarsi al fatto che perderemo parte della nostra privacy, ma a vantaggio di una maggiore sicurezza”.